Il presidente della Fondazione ‘Balducci – Rossi’ racconta le azioni in terra africana e nel nostro territorio
Tommaso Rossi è il Presidente della Fondazione ‘Balducci Rossi’; imprenditore nel campo chimico ambientale di Senigallia, ha creato la “Fondazione Maria Grazia Balducci Rossi per i più bisognosi”, intitolata alla moglie, nel campo delle cure mediche e dell’istruzione.
La Fondazione Maria Grazia Balducci Rossi per i più bisognosi ETS è una fondazione senza fini di lucro con scopi umanitari.
Curare, educare e sostenere donne, minori e anziani è il nostro obiettivo. Nasce come naturale evoluzione di un importante progetto umanitario, “Africa per gli Africani”, avviato nel luglio 2002 in Africa, Costa d’Avorio, con la costruzione del “Centro di Accoglienza Maria Grazia Balducci Rossi”, ovvero di una struttura sanitaria, educativa e ricreativa nata con lo scopo di offrire ai bambini, adolescenti ed anziani uno spazio di crescita, di apprendimento e di cura, premesse necessarie a qualsiasi tipo di sviluppo sociale ed economico.
Lo spirito che guida la Fondazione si discosta fortemente da quello assistenziale, nella convinzione che lo sviluppo dell’individuo e, dunque, della società dipendano dalle opportunità offerte ai singoli di poter evolvere e crescere.
La Fondazione ha compreso, con la propria esperienza, che “ogni volta che facciamo un’elemosina, un povero diventa più povero mentre ogni volta che offriamo un’opportunità, un povero si rialza e riprende il dignitoso cammino della sua esistenza. Ed è proprio sullo sviluppo possibile e sostenibile che la Fondazione orienta sforzi e risorse” (il fondatore Tommaso Rossi).
Siamo curiosi di sapere come è nata la Fondazione…
La Fondazione “Maria Grazia Balducci Rossi” è nata nel 2007 ma già da alcuni anni si erano avviati dei progetti in Costa d’Avorio con la costruzione di un asilo e di un ospedale. Il tutto nasce da un evento drammatico in seguito alla morte di mia moglie nel 2000, alla quale è dedicata la Fondazione, Maria Grazia Balducci, che mi ha gettato inizialmente in uno stato di confusione e di disorientamento. Nei mesi successivi alla sua morte ho scoperto un lato di mia moglie che non conoscevo, ovvero tutto il bene che lei faceva nel nascondimento, in particolare verso le persone sole e isolate. Questo mi ha portato insieme ai miei quattro figli a non lasciar cadere tutto il bene seminato da mia moglie ma continuare la sua opera attraverso delle risorse che provenivano dalla azienda della nostra famiglia. Così abbiamo iniziato a guardarci attorno e cercare di capire quale potevano essere delle azioni concrete e la provvidenza ci ha portato in Costa d’Avorio in una zona molto povera e priva di servizi sanitari e di sostegno ai bambini.
Quindi i suoi primi passi la Fondazione li ha mossi in Costa d’Avorio?
Sì, è li che siamo partiti e nel corso di questi vent’anni abbiamo realizzato davvero tante cose all’insegna della promozione del territorio e delle condizioni igieniche e sanitarie del villaggio. Il primo dato che ci è saltato all’occhio fin da subito era l’alto tasso di mortalità infantile: tanti bambini che morivano a causa di infezioni e malattie legate alla cattiva alimentazione e alle scarse condizioni igieniche. Così abbiamo costruito un ambulatorio e avviato subito una scuola dove poter educare i bambini ad una sana alimentazione e a delle regole igieniche di base. Così sono stati gli stessi bambini che tornando nei villaggi e nelle loro case hanno iniziato ad educare anche i genitori e gli adulti ad uno stile diverso di mangiare e gestire gli ambienti di vita. In seguito abbiamo avviato una scuola di mestieri per poter emancipare i giovani e inserirli nel mondo professionale sia all’interno del loro villaggio, sia al di fuori di esso. Il passaggio fondamentale è stato decidere di retribuire i professionisti coinvolti nelle strutture sanitarie da noi costruite secondo i parametri europei con dei contratti vantaggiosi e ben retribuiti.
Questo ha prodotto un ulteriore investimento di tutti questi professionisti nel territorio con l’apertura di nuove attività commerciali e cooperative agricole.
Da un seme di bene piantato in un terreno fertile sia nata una pianta piena di frutti?
È proprio così, da un investimento iniziale che prevedeva una assistenza quasi totale da parte della Fondazione si è arrivati ad oggi ad una condizione quasi di autosostegno delle strutture sanitarie e scolastiche grazie anche ai fondi provenienti dallo Stato ivoriano, che dopo una iniziale fase di scetticismo ha riconosciuto in tutte queste opere un bene per lo stato e per il territorio attorno. Questa crescita umana e gestionale ha permesso alla Fondazione di sostenere anche dei progetti qui in Italia e recuperare quel bene silenzioso e discreto che mia moglie aveva portato avanti per tanti anni. Abbiamo scoperto che non è tanto la povertà che deve guidare il nostro operato ma piuttosto la ricerca dei bisogni effettivi e il tentativo di dare delle risposte concrete a questi bisogni.
Qui nel nostro territorio marchigiano la vera povertà è la solitudine e l’isolamento, in particolare delle persone anziane che non hanno una famiglia che possa accompagnarli e sostenerli nelle loro malattie e fasi dell’invecchiamento.
Abbiamo così avviato una collaborazione con la casa di riposo di Ripe per poter costruire un centro diurno per persone malate di Alzheimer, oltre a sostenere tante persone sole con degli interventi personalizzati.
Quindi la crescita delle opere della Fondazione è andata di pari passo con una crescita personale interiore e di “conversione dello sguardo”?
Quando si decide di fare del bene in modo disinteressato e gratuito ci si accorge di due cose fondamentali: una è che il modo migliore per aiutare una persona non è tanto soddisfare la richiesta immediata di aiuto ma piuttosto ridargli dignità e sostegno integrale. Nel materiale della Fondazione è riportata questa frase che esprime in sintesi il concetto che sta alla base di ogni opera di solidarietà: “Ogni volta che facciamo un’elemosina, un povero diventa più povero mentre ogni volta che offriamo un’opportunità, un povero si rialza e riprende il dignitoso cammino della sua esistenza”.
La seconda cosa che si scopre quando si inizia a fare del bene gratuitamente è che non sempre esso verrà corrisposto con gratitudine e riconoscenza ma anzi inizieranno ad arrivare critiche, sospetti, calunnie, recriminazioni. Devo riconoscere che inizialmente questo aspetto mi ha mandato molto in crisi perché in coscienza non sapevo bene se continuare su quella strada o lasciar perdere tutto, di fronte a situazioni in cui alcune persone si erano approfittate o rivendicavano per sé stesse meriti o diritti. Fu molto importante a quel tempo costituirsi come Fondazione e fare in modo che non ci fosse una sola persona prendere le decisioni o mettere le firme ma piuttosto un insieme di persone motivate dagli stessi obiettivi e valori che si assumevano delle responsabilità come Fondazione. Da quel momento ogni offerta che veniva donata o ogni opera che veniva realizzata ha avuto sempre la Fondazione come riferimento e nessuno ha potuto più rivendicare per se stesso meriti o interessi.
Per me sono di grande ispirazione e consolazione le parole pronunciate da Madre Teresa di Calcutta in una preghiera che porto sempre con me e vorrei condividere con tutti i lettori: «l’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico non importa, amalo; se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici non importa, fa’ il bene; se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici non importa, realizzali; il bene che fai verrà domani dimenticato non importa, fa’ il bene; l’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile non importa, sii franco e onesto; quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo non im-porta, costruisci; se aiuti la gente, se ne risentirà non importa, aiutala; dà al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci non importa, dà il meglio di te
(MadreTeresa di Calcutta).
Qual è l’ultimo progetto che come Fondazione avete sostenuto e che può darci un respiro di speranza in vista anche del Natale?
Uno degli ultimi problemi che abbiamo deciso di affrontare è la scarsa attenzione riguardo ai problemi cardiaci dei bambini in Costa d’avorio e in generale nei paesi africani. Spesso una debolezza fisica o una menomazione presente dalla nascita porta la cultura di quel luogo a lasciar morire i bambini isolandoli o ritenendo inutile superare queste malattie.
Abbiamo così deciso di attivare dei ponti sanitari portando questi bambini in Italia sostenendo le spese per il viaggio e per gli interventi chirurgici necessari in collaborazione con diverse strutture sanitarie tra cui l’ospedale “Bambin Gesù” di Roma o l’ospedale di Torrette.
Può sembrare una goccia in un oceano (per ora abbiamo sostenuto 6/7 interventi per situazioni cardiache gravi) ma in realtà il bene non deve mai andare dietro al clamore del successo piuttosto avviare uno stile di solidarietà e sostegno che poi diventa modello per una intera comunità.
Articolo di dicembre 2024 su La Voce Misena